LE NEVIERE A NOCI

Attraverso l’attenta osservazione dei fenomeni naturali e la riflessione dello sviluppo storico-socio-economico del nostro ambiente di vita quotidiana, fortemente condizionato dall’avvento dei processi tecnologici, gli uomini, i giovani in modo particolare, devono ritrovare il piacere della creatività e non ritenere che a loro tutto è dovuto in uno stato di diritto.
L’uomo, per migliorare le sue condizioni di vita, da sempre lavorando, ha cercato di costruirsi strumenti e strutture di varia tipologia.
La famiglia contadina, realtà storica del territorio che noi abitiamo, poiché autosufficiente, conservava cereali, legumi, frutta secca ed altro, che produceva da sola attraverso la coltivazione della terra, in orci, dogli, o capase, per utilizzarli in quei mesi dell’anno in cui la natura non ne offriva. Gli orci per l’olio erano abbastanza capienti e con una imboccatura larga, per facilitare l’operazione d’inserimento o di prelievo dell’alimento.
Nelle anfore giganti, conosciute da noi con il nome di “capasoni”, si conservava vino e aceto.
Durante i mesi estivi si usava rinfrescare il vino o l’acqua con aggiunta di ghiaccio che si produceva d’inverno attraverso la conservazione della neve nelle “neviere”.
La neviera, struttura in pietra locale, costituita da un vano a “lamia” con tetti spioventi o a “pignon”, situata in periferia del paese, verso valle, era costituita di una cisterna sottostante, profonda dai cinque ai sei metri e con due imboccature. La prima, molto ampia, serviva per depositare masse di neve che gli uomini, dopo un’abbondante nevicata, raccoglievano sulle strade lastricate e in pendenza che confluivano verso la struttura di cui si è detto sopra. La seconda, che iniziava con una scaletta in pietra, che si esauriva sul fondo della cisterna, serviva agli addetti per stipare, compattare e ridurre a strati la neve raccolta. Ogni volta che la cisterna doveva essere riempita di neve, veniva pulita, lavata e ricoperta sul fondo di uno strato di rami privi di foglie o di sarmenti, affinché si potesse, successivamente, staccare l’ultimo strato di ghiaccio che si sarebbe formato con l’invio delle palle di neve.
Le palle di neve, prodotte per arrotolamento sul suolo, lasciate cadere nella cisterna, eraano battute, livellate e ridotte in strati di 20-30 centimetri, alternati con strati di paglia di 6-10 centimetri, che dopo la trebbiatura del grano sull’aia a luglio, era stata depositata nella “lamia”.
La paglia serviva per separare gli strati di neve e ad assicurare all’ultimo strato, quello più superficiale, l’isolamento dall’ambiente esterno, a temperatura più elevata. Pertanto questo strato di paglia era di spessore maggiore.
Durante i mesi estivi, allontanata la paglia, si provvedeva con seghe e scure a tagliare i vari strati di ghiaccio in blocchi che erano trasferiti con carretti spinti a mano o trainati da asini, presso le cantine, trattorie o altri punti vendita del paese.
I pochi baristi di allora, durante i mesi caldi, grattugiavano il ghiaccio per produrre la così detta “grattamarianna”: una granita che arricchivano con essenze liquorose per servirla in bicchiere ai clienti.
Il ghiaccio era usato sia per ristoro sia per alcune terapie d’infermità. Nacque un vero e proprio commercio con i paesi limitrofi; soprattutto con quelli marittimi che, specialmente d’estate, ne facevano gran richiesta. Preoccupazioni sorgevano, nei produttori, quando durante l’inverno non accadevano abbondanti nevicate, data l'elevata richiesta di ghiaccio per i diversi usi.
In passato, per mancanza di frigoriferi, il ghiaccio era l’unico prodotto rinfrescante.
Verso la fine del secolo scorso, dopo varie prove sperimentali, tenute da più studiosi, fu messa a punto la macchina che produceva ghiaccio e quella frigorifero a compressione di ammoniaca, per la conservazione di quei cibi che si deterioravano facilmente.
Nei primi decenni dell’attuale secolo, con l’avvento delle macchine funzionanti ad energia elettrica, la pratica della raccolta della neve per fare ghiaccio andò in disuso.
Oggi la tecnica di conservazione dei cibi per mezzo del freddo è largamente impiegata e consiste, a seconda della temperatura, in quella di refrigerazione (da 4 a 0°C), congelazione (da –5 a –20°C) e surgelazione (fino a 40°C sotto lo zero).
Ormai, a testimonianza delle neviere, non rimane che un ricordo delle persone anziane e qualche rudere.

Antica neviera a Noci, in Largo San Sebastiano.

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Punto vendita di granite e gelati a Noci, in Largo Garibaldi: anni quaranta del secolo scorso.